Noi che scriviamo non abbiamo conosciuto il dramma dell’aborto clandestino. Siamo nate dopo il 1978, anno in cui fu approvata la legge “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, più nota come 194 o sbrigativamente legge sull’aborto. Quella legge non fu regalata, ma arrivò dopo anni di lotte delle donne venute prima di noi, che sapevano cosa volesse dire abortire nella clandestinità con il rischio concreto di morire. Il risultato politico di quelle lotte è stato ottenere che l’autodeterminazione fosse il punto di forza della 194 e non una concessione; nella legge è previsto che una donna dica: io decido.
Ma cosa succede quando una donna può decidere?
Succede che il patriarcato alza le difese, obbligando la donna a un percorso ad ostacoli, quando va bene; a una via crucis, quando va male. Questa legge è ancora in piedi, ma ha dovuto superare il tentativo di abrogazione attraverso due referendum, e i suoi principi vengono ciclicamente messi in discussione. E’ accaduto in Parlamento nella vicenda sulla procreazione medicalmente assistita, accade ogni giorno negli ospedali italiani in cui obiettano anche i portantini, accade nei consultori con i dissuasori, accade con l’ostruzionismo alla pillola RU486 e perfino alla “pillola del giorno dopo”. (altro…)