Ieri, infuso di prezzemolo, ferri da calza, spilloni, cucchiaini, stampelle, pompe da bicicletta, voli dalle scale o dalle finestre, viaggi a Londra.
Oggi, ancora viaggi a Londra, trasferte in altre province o regioni, dosi massicce di Cytotec – un gastroprotettore che provoca contrazioni uterine -, soluzioni saline, finti medici, cliniche private.

In mezzo, una legge, la 194 del 1978, che tutela la libera scelta e la salute di tutte le donne garantendo il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza all’interno del sistema sanitario pubblico nazionale. Una legge che ha scontato, sin dalla sua nascita, uno scivolamento: dal diritto all’obiezione di coscienza dei singoli all’impossibilità per le strutture sanitarie di garantire l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza su tutto il territorio nazionale.
Le numerose soluzioni a questo problema proposte negli anni, tra cui l’istituzione di concorsi riservati ai medici non obiettori e la creazione di un registro dei non obiettori, sono finora cadute nel vuoto. Il risultato è che tra 5 anni la possibilità di accedere all’aborto dipenderà dal lavoro di solo 150 ginecologi non obiettori di coscienza in tutta Italia e tra 10 anni la legge sarà inapplicabile.

Nel nostro Paese, infatti, 7 ginecologi/e su 10 sono già obiettori/e di coscienza e quando, nei prossimi anni, quelli non obiettori andranno in pensione non ne subentreranno di nuovi, perché la paura di non poter accedere ad un percorso di carriera convince le nuove leve a dichiararsi obiettori a prescindere dalle proprie convinzioni.
Attualmente lo scarso numero di non obiettori si traduce in:

  • lunghe liste di attesa per le donne, che spesso portano le gravidanze al limite dei novanta giorni;
  • sovraccarico di lavoro dei medici non obiettori, che sono completamente assorbiti dalle interruzioni di gravidanza senza poter esercitare la professione nella sua completezza;
  • trascuratezza del servizio prestato (spazi insufficienti e degradati; lunghe ore di attesa; assenza di mediazione linguistica; tempi concitati in cui viene meno qualsiasi attenzione alla salute psicofisica delle donne);
  • aumento degli aborti nelle strutture private e quindi una evidente discriminazione economica.

Il rischio è che le donne tornino a morire d’aborto e che continuino ad essere criminalizzate per la loro scelta.
O c’è il diritto o c’è l’obiezione. Che fare? L’obiezione non si applica alle strutture sanitarie: tutti gli ospedali devono garantire il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza per tutte e quindi il servizio non può subire deficienze a causa degli obiettori di coscienza. I presidenti delle regioni hanno il dovere e la responsabilità di monitorare la corretta applicazione della 194. Se non svolgono questo compito devono essere soggetti al giudizio di tutte le donne e della cittadinanza.

Quest’appello non è una richiesta di sostegno ma una chiamata generale a portare avanti azioni e iniziative sui territori: nei consultori di quartiere, negli ospedali, nei centri di accoglienza, nelle piazze, nelle nostre case.

La libertà e la salute delle donne sono nelle nostre mani, riguardano tutte e ciascuna può portare questa lotta nei suoi luoghi. Come? Presidiamo, protestiamo, denunciamo con tutti gli strumenti che abbiamo e in tutte le forme di cui siamo capaci. MAI PIU’ CLANDESTINE

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